Lo sappiamo bene tutti, la continua emissione di gas serra in atmosfera sta cambiando ed ha modificato il nostro pianeta.
Gli effetti sono certe volte visibili: cambiamenti climatici, riscaldamento globale, riduzione di ghiacci artici… mentre in altri casi non lo sono.
I gas serra e l’impatto sull’oceano
Per decenni l’effetto dei gas serra, soprattutto dell’anidride carbonica, è stato mitigato naturalmente dalle acque oceaniche.
In mare, infatti, è presente quello che viene chiamato sistema tampone, per cui la CO2 atmosferica viene sequestrata e trattenuta in acqua, dove si hanno una serie di trasformazioni chimiche che portano alla formazione di acido carbonico (H2CO3).
In seguito si ottiene bicarbonato ed infine carbonato, il tutto accompagnato dalla liberazione di ioni di idrogeno (cioè un atomo dotato di carica elettrica e che non presenta elettroni).
L’acido carbonico, che viene liberato, può però reagire con il carbonato di calcio già presente nell’acqua dando così origine al bicarbonato di calcio.
Così facendo l’acido carbonico è reso innocuo e il biossido di carbonio è eliminato dall’atmosfera.
Tuttavia, con l’aumento dell’anidride carbonica rilasciata dalle attività umane si è creato uno sbilanciamento di questo meccanismo.
Infatti, è stato osservato che con l’aumento del gas serra in aria, questo è aumentato anche in acqua; il che impedisce il corretto funzionamento del sistema tampone, si viene quindi a creare un eccesso di acido carbonico che reagisce maggiormente con il carbonato di calcio, riducendo di conseguenza quello disponibile agli animali per costruire i loro gusci o esoscheletri.
Come ulteriore conseguenza si ha un cambiamento nell’acidità dell’acqua; infatti questa, per secoli, è rimasta stabile intorno a un valore di pH (la grandezza fisica dell’acidità) di circa 8.25 ma con l’aumentare dell’anidride carbonica il pH è sceso ad un valore di 8.14.
Chi risente di più dell’acidificazione degli oceani?
Il cambiamento può sembrare irrisorio ma così non è per moltissimi organismi che vivono negli oceani.
Tra i più a rischio abbiamo animali come i coralli, molti molluschi che presentano conchiglie, spugne, zooplankton e fitoplankton.
Tutti questi organismi presentano gusci di calcare che risentono molto del cambiamento del pH marino.
Un’acqua più acida infatti tende a ridurre l’efficienza con cui questi organismi possono costruire il loro scheletro.
Di conseguenza avremo organismi più fragili e con una crescita molto più lenta.
In alcuni casi addirittura potremmo avere lo scioglimento della struttura di calcare di certi animali con la conseguente perdita di tutto l’organismo.
Tra lo zooplankton, quindi tra tutti quegli organismi animali planktonici, le specie che più ne risentono sono gli pteropodi, piccoli molluschi con un guscio calcareo chiamati anche farfalle di mare.
Si è visto che in poco più di un mese il guscio di questi animali tende a dissolversi, portando alla morte dell’animale. Oltre a perdere organismi dalla straordinaria bellezza, cambiamenti di questo tipo modificano un equilibrio durato milioni di anni che non sappiamo quali effetti potrebbe avere sulla salute dei nostri mari ma anche su di noi.
La riduzione del pH influenza particolarmente le barriere coralline e i reef, rendendoli più fragili e sensibili ad altri cambiamenti climatici o a stress che fino a poco fa potevano sopportare, come una grossa mareggiata.
In alcuni recenti studi sembra anche che l’acidificazione degli oceani influenzi il tasso di fertilizzazione delle uova dei coralli, riducendo la sopravvivenza delle uova ed il loro numero.
Le barriere coralline sono poi hotspot di biodiversità: la riduzione di questi habitat mette a repentaglio la sopravvivenza di molte altre specie a rischio.
L’acidificazione degli oceani per gli umani
Ma naturalmente anche le attività umane ne possono risentire.
L’allevamento di molluschi è una delle più a rischio, infatti mitili, ostriche, vongole… sono solo alcune delle specie commerciali che vengono danneggiate da questo mutamento.
L’incapacità di biocostruire gusci resistenti fa sì che gli animali siano più sensibili agli attacchi di predatori e parassiti e quindi gli allevamenti risultano meno produttivi.
Per invertire questo processo è fondamentale ridurre il livello di CO2 presente nell’atmosfera.
In questo modo il meccanismo del sistema tampone potrebbe ritrovare l’equilibro, dandoci modo di preservare organismi, habitat e anche importantissime risorse economiche.