Come vi avevo annunciato nell’articolo su Green Ideas, il 12 ottobre si è tenuto un evento su Zoom per promuovere la nuova serie della Penguin e parlare di giustizia climatica e sociale. McKibben era naturalmente l’ospite d’onore, ma alla conferenza si sono unite anche Fatima-Zahra Ibrahim e Mikaela Loach. La moderatrice Alice Aedy, cofondatrice di Earthrise, ha diviso il tempo in modo molto equo, facendo intervenire tuttə e indirizzando a ognunə la domanda più pertinente.
Ma perché vi parlo di un evento, che spero possiate trovare online a breve, invece di consigliarvi dei libri o dei film come faccio sempre?
Innanzitutto perché ogni occasione è buona per parlare di Bill McKibben. Abbiamo già analizzato il suo famosissimo libro La fine della natura, che è stato il primo a introdurre l’argomento della crisi climatica nel mainstream. Infatti prima del 1989 veniva nominata solo nei report scientifici. La Penguin ha scelto di ripubblicare una parte di questo importante libro, con il titolo An Idea Can Go Extinct.
Tuttavia il vero motivo per cui sto scrivendo questo articolo è per approfondire alcune tematiche che sono state discusse durante la conferenza e che credo siano fondamentali quando si tratta di crisi climatica.
Gli ospitə
Prima di iniziare vorrei presentarvi gli ospitə della chiacchierata, che ha avuto quasi 400 spettatorə.

Mikaela Loach e Bill McKibben.
Bill McKibben
Di lui parlerò abbastanza poco perché non gli servono certo presentazioni. È considerato l’attivista ambientalista più efficace del momento ed è uno dei fondatori del movimento internazionale 350.org.
Per capire che tipo di persona sia, basti sapere che si è collegato a Zoom dalla sua camera d’albergo, perché il quel momento era a Washington DC per una manifestazione di People Vs Fossil Fuels. La prima cosa che ha detto salutando il pubblico e gli altrə ospitə è stata che quella mattina non aveva preso parte alle proteste solo perché sapeva di avere questa intervista, altrimenti si sarebbe già fatto arrestare insieme agli altrə manifestantə (cosa che ha fatto in passato innumerevoli volte). In compenso proprio il 12 ottobre ha pubblicato un articolo sul New Yorker parlando dei combustibili fossili e delle conseguenze del loro imminente declino.
Fatima-Zahra Ibrahim
Ibrahim è la direttrice e cofondatrice del Green New Deal UK, un movimento giovanile che propone un piano economico di trasformazione radicale verso un futuro più sostenibile. Ha lavorato per ONG mondiali e movimenti sociali europei, come WeMove.eu.
In particolare si focalizza sulla giustizia sociale e l’attivismo climatico, scrivendo per Vice, Time Magazine e The Independent.
Mikaela Loach
Loach è un’attivista per la giustizia climatica e si focalizza principalmente sul legame tra crisi climatica e sistemi oppressivi, come la supremazia bianca e l’ingiustizia sociale. Ma è famosa soprattutto per essere una delle tre persone che hanno portato il governo inglese in tribunale per opporsi alle politiche nel mare del Nord della Oil & Gas Association e ai sussidi che essa riceve proprio dal governo. Per sapere di più su Paid to Pollute, la loro causa (che verrà discussa l’8 dicembre di quest’anno) ed eventualmente supportarla, potete andare sul loro sito.
Naturalmente portare il proprio governo in tribunale evidenzia quanto non ci siano più alternative: non abbiamo tempo di aspettare e sperare che queste politiche cambino da sole, nonostante le tante promesse green dei politicə. Anche in Italia esiste un movimento europeo di questo tipo, che si chiama Giudizio Universale.
Temi affrontati
La giustizia climatica è anche sociale
Prima di partecipare a questo evento, mi ero già informata su cosa fosse la giustizia climatica, tanto che ve ne avevo parlato nell’articolo su Mary Robinson. Sapevo quindi del suo legame con la giustizia sociale, ma l’avevo sempre percepito come un legame a senso unico. Infatti, quando si parla di esodi climatici o di catastrofi naturali, viene sempre sottolineato come siano gli stati più poveri a subire e soffrire di più per una crisi che abbiamo creato soprattutto noi degli stati più ricchi.
Ho scoperto invece che non è solo l’ingiustizia climatica a causare quella sociale, ma è vero anche l’opposto. Ovvero, basare la nostra società occidentale su gerarchie sociali prestabilite e ingiuste è proprio una delle cause principali della crisi climatica. Infatti il colonialismo, il capitalismo e il consumismo ci hanno portato a distruggere il nostro pianeta.
Per questo per combattere questa crisi globale c’è bisogno di un cambiamento radicale anche a livello sociale. Abbiamo bisogno di tuttə. Ad esempio, dobbiamo ascoltare i nativə americanə che si tramandano da secoli i segreti per curare i loro terreni, invece di considerarli un popolo inferiore da ignorare.
La narrazione è importante
Collegandosi alla necessità di una trasformazione sociale, McKibben ha anche aggiunto che non basta agire individualmente, proprio perché il problema è sistemico. Per carità, a livello individuale si può fare tanto, ma la cosa più importante è unirsi in gruppi di attivistə, perché è l’unico modo di farsi sentire.
Un modo per raggiungere questa ideale società ecosostenibile ed equa è il tipo di narrazione che usiamo nel descriverla e nel parlare della situazione attuale. In particolare, Ibrahim suggerisce di concentrarsi sull’utopia. Bisogna ispirare le persone e dargli un’idea positiva. Lo storytelling è fondamentale. Ci siamo raccontati che l’essere umano è individualista e avido, ma non è così. Esiste questa convinzione che per vincere bisogna pensare solo a se stessi e il colonialismo ha distrutto moltissime comunità con questo pretesto. Eppure non sembra la mossa migliore, perché il risultato è un pianeta distrutto.
Bisogna agire adesso
“Winning slowly is still us losing.”
“Se vinciamo lentamente, perderemo.”
Alla fine della conferenza McKibben ha ribadito il bisogno di agire nell’immediato. Ci stiamo avvicinando al 2030, il punto di non ritorno, e ormai la maggior parte delle persone sanno cosa sia la crisi climatica. Infatti il “climate denial”, ovvero fingere che non esista alcuna crisi o che il cambiamento climatico sia naturale, è stato quasi sconfitto, ma al suo posto c’è un nemico ben peggiore: il “climate delay”, ovvero rimandare all’infinito le azioni che andrebbero prese immediatamente. Promettere di arrivare ai risultati entro il 2050 non vale nulla – perché, se arriviamo a quella data nella stessa situazione di oggi, non potremmo più tornare indietro.
Per questo Ibrahim sottolinea come la COP26 è un momento importante per prendere decisioni fondamentali, che non superino il 2030. Ha ripetuto più volte che serve un piano decennale, non si può andare oltre. Tuttavia è molto pessimista a riguardo, perché nessun governo ha ancora un piano che rispetti l’accordo di Parigi. Sembra che a ogni evento di grande portata i paesi arrivino impreparati o con piani troppo lunghi che rimandano la necessaria azione immediata.
Infine Loach ha ricordato a tuttə che il 6 novembre 2020 ci sarà un’importante manifestazione nel Regno Unito, che penso verrà ripetuta in tutto il mondo, e spera che l’energia nelle proteste torni com’era nel 2019, prima della pandemia.
Vorrei chiudere l’articolo con la stessa frase che ha chiuso la conferenza: una citazione di Bill McKibben (ovviamente).
“Climate change is the single biggest thing that humans have ever done on this planet. The one thing that needs to be bigger is our movement to stop it!”
“La crisi climatica è la cosa più grande che gli esseri umani abbiano mai fatti su questo pianeta. Ciò che dev’essere ancora più grande è il nostro movimento per fermarla.”
