Una delle più gravi piaghe che accompagna i nostri mari, insieme all’overfishing, è il bycatch. Termine che letteralmente significa “cattura accessoria” e che si riferisce alla moltitudine di pesci catturati ma inutilizzabili. Accade infatti che molti degli animali pescati, soprattutto quelli finiti nelle reti, non siano di interesse commerciale. I motivi sono i più disparati, dalle dimensioni insufficienti di animali troppo giovani, a specie che in determinate zone non hanno interesse commerciale.
Non tutto il pesce si vende
Una volta calata in mare, una rete assolve il suo compito alla perfezione: cattura tutto ciò che nuota, sia ciò che si desidera pescare, sia una percentuale di animali che non sono di nessun interesse economico. Questi, una volta tirati a bordo, sono per la maggior parte morti e inutilizzabili; la soluzione che per lungo tempo i pescatori di tutto il mondo hanno adottato è stata quella di rigettare in mare l’animale morto.
Potremmo pensare che in fondo non faccia del male a nessuno. Si tratterebbe di nutrimento per altri pesci. Tutto ciò è vero ma, come sempre, il problema risiede nelle quantità. La pesca industriale ha rivoluzionato il mondo: la quantità di pesce che viene catturato supera la nostra immaginazione e con tutto quel pesce che viene tirato a bordo anche il bycatch ha raggiunto numeri spaventosi.
Definire la portata in numeri di questo scempio non è semplice, tuttavia la FAO nel 2019 ha stimato che, annualmente, vengano rigettati in mare circa 9,1 milioni di tonnellate di pesce, circa il 10,1% delle catture totali. Cifre astronomiche che possono cambiare di molto gli equilibri del nostro pianeta. Tra le principale vittime troviamo organismi giovani, che spesso non hanno ancora raggiunto la maturità sessuale e non si sono ancora riprodotti. Non raggiungendo le dimensioni ottimali, finisco nel bycatch, senza dar loro la possibilità di essersi riprodotti almeno una volta.

Oggi le dimensioni degli animali pescati hanno un notevole peso nell’economia delle attività alieutiche. Una serie di leggi infatti prevede che certi animali raggiungano lunghezze prestabilite che ne assicurino almeno un ciclo riproduttivo . Ciò nonostante non tutti gli strumenti di cattura possono assicurare una distinzione di taglie. Le reti, per esempio, sono ideate per catturare certi tipi di pesci, ma al suo interno, come vedremo, finiscono esemplari di ogni dimensione.
Specie accessorie
Nel vasto e, quasi infinito, mare vivono migliaia di specie di pesci, la rete una volta in acqua non differenzia quale organismo intrappola. Che sia un acciuga, un tonno, una tartaruga o uno squalo alle reti questo non interessa, ma al pescatore si. Delfini, foche, tartarughe e molte altre specie non hanno interesse commerciale o ne è vietata la cattura, eppure rimangono vittima delle attività alieutiche. Una volta intrappolati, gli animali, nel tentativo di liberarsi, si avvolgono maggiormente nelle maglie della rete. Così facendo, cetacei e tartarughe marine non hanno modo di raggiungere la superficie e muoiono annegate.

Le reti inoltre uccidono anche molti pesci accessori: i grandi predatori come gli squali restano vittime di questo sciagurato mezzo alieutico. Incastrandosi con il capo e divincolandosi danneggiano le branchie fino a rendere impossibile lo scambio di ossigeno.
L’elenco non si limita ad animali a cui l’opinione pubblica è sensibile. Le catture comprendono specie che non hanno nessuna richiesta sul mercato e resterebbero invendute. Un esempio molto vicino ai liguri è dato dalla pesca del gambero (rosso o viola), fatta lungo le nostre coste. Oltre ad un quantitativo non sempre soddisfacente di gamberi, vengono issati a bordo gattucci come il Galeus melastomus, chimere (Chimaera monstra) o pesci vipera (Chauliodus sloani).
Si tratta di animali il cui interesse commerciale è nullo. Quindi vengono generalmente ributtati in mare, causando un danno secondario imprevisto che non va sottovalutato.
Ritornati in mare
Nel corso di un’uscita, si issano a bordo tonnellate di pesce, reti o lenze. Una volta a bordo il pescatore seleziona il pesce che gli interessa; ma di tutto il resto, animali con poco o senza valore economico o che non rispettano le dimensioni richieste, cosa ne fanno? I pesci, spesso morti, vengono quindi buttati in mare, nella convinzione che possano servire da cibo per altre prede.
Una volta rigettati in mare diventano fonte di nutrimento per altri organismi, spazzini, che ripuliscono la carcassa e lasciano il resto del lavoro a batteri che decompongono quello che resta. Un eccesso di carcasse, però, comporta una sovrabbondanza di animali spazzini e batteri che possono modificare e danneggiare gravemente il fondale. Si possono venire a formare dei cimiteri di pesci, ricchi di batteri che consumano la carne in putrefazione, avvelenando intere aree.
Nonostante l’intenzione lodevole, un’azione semplice può portare gravi squilibri all’interno delle comunità sottomarine, dimostrando come le azioni dell’uomo, se fatte sconsideratamente, causino effetti devastanti.
Come si può intervenire?
La gestione della pesca non è semplice, controllare piccoli e grandi pescherecci nelle grandi distese d’acqua è un impresa ardua per chiunque. Una via è quella di adottare legislazioni più stringenti che indichino le zone adatte alla pesca; in questo modo si eviterebbero aree di transito di cetacei e tartarughe. Monitorando il pescato, sia in termini di quantità che di specie pescate, il pescatore potrebbe avere un guadagno anche da specie generalmente considerate meno appetibili, ma che potrebbero rivelarsi inaspettatamente remunerative.
Ma sono necessarie azioni più dirette; come ad esempio modificare i metodi di pesca e gli attrezzi per ridurre la cattura di specie accessorie. Implementare i Bycatch Reduction Devices (BRD), cioè strumenti che riducono il numero di specie indesiderate catturate. L’uso di ami di forme differenti assicura la cattura mirata sia per quanto riguarda la specie che le dimensioni.