Mary Robinson è stata presidentessa della Repubblica d’Irlanda e subito dopo alta commissaria ONU per i diritti umani, dal 1997 al 2002. È diventata una delle voci più autorevoli nella lotta contro la crisi climatica e sulla giustizia climatica, grazie al suo passato in politica e alla sua fondazione. Il suo mandato all’ONU le ha fatto capire quanto il cambiamento climatico sia strettamente legato alle ingiustizie e disparità mondiali. Infatti, come spiega durante una conferenza all’Università della California a San Diego, le implicazioni della crisi ambientale sulla situazione già precaria dei paesi poveri e in via di sviluppo sono catastrofiche.
Durante la sua vita, ha avuto l’opportunità e il dovere di andare spesso in Africa. Proprio lì, in Uganda, molte donne le hanno spiegato che la scomparsa delle stagioni ha distrutto il loro equilibrio quotidiano: la certezza di poter coltivare e mangiare qualcosa tutti i giorni. Inoltre le alte temperature hanno allontanato le zone in cui sapevano di trovare acqua potabile. Erano sempre state povere, ma conoscevano perfettamente la loro terra e sapevano come sopravvivere in quelle condizioni stabili. Questa situazione colpisce ancora maggiormente le donne perché spesso sono loro a coltivare, procurare e cucinare il cibo per l’intera famiglia.
Alla conferenza sul clima in Rwanda nel 2004, Robinson scoprì che l’intero continente africano contribuisce solo al 4% delle emissioni di gas serra globali. È in quel momento che capì che c’è bisogno della giustizia climatica e di fondazioni come la Mary Robinson Foundation.
La giustizia climatica
Mary Robinson ha scritto Climate Justice. Manifesto per un futuro sostenibile (Donzelli, 2020) basandosi proprio sulle sue missioni in giro per il mondo e ci porta con lei dal Malawi alla Mongolia, dall’Artico alla Tailandia, dall’Uganda all’Australia – tutti paesi in cui alcune o tutte le comunità stanno subendo le prime conseguenze della crisi climatica.
Questo libro è una raccolta di undici storie di persone, soprattutto donne, che lottano ogni giorno per sopravvivere e adattarsi ai cambiamenti ambientali. Ci insegna che è possibile resistere e migliorare la propria situazione anche nelle peggiori condizioni. Tuttavia è una lettura profonda che ci ricorda quanto sia privilegiato l’Occidente e quanti danni abbia fatto a spese altrui. Leggendolo ci si rende conto che lottare contro il cambiamento climatico può essere un bel passatempo per noi, ma è una questione di vita o di morte in quei paesi.
Nel suo viaggio, Robinson incontra donne indigene straordinarie, che gettano un po’ di ottimismo su questo tema difficile. Si passa dalla matriarca Sharon Hanshaw, la cui campagna sociale è nata in una piccola città del Mississippi ed è arrivata a essere ascoltata dall’ONU, all’agricoltrice Constance Okollet, che ha trasformato e salvato la sua comunità in Uganda, fino una donna tailandese che combatte giornalmente contro il disboscamento locale. Questi sono solo alcuni esempi di resilienza indigena e, per la maggior parte, femminile.

Cos’è il razzismo ambientale?
A questo punto potreste già intuire il significato del termine “razzismo ambientale”. Si tratta di subire le conseguenze della crisi climatica più severamente a causa della propria etnia, provenienza e posizione sociale. Infatti, anche se questa crisi è una questione globale, non avrà nel breve termine lo stesso effetto su tutti. È stato dimostrato che, anche in questo caso, le minoranze mondiali sono svantaggiate e sono già state colpite per prime e più duramente.
Il cambiamento climatico sta alterando la possibilità di coltivare, pescare o avere accesso all’acqua potabile. Le comunità indigene ormai conoscono benissimo gli effetti catastrofici di questa crisi, tuttavia sono ancora escluse dalle decisioni politiche che li riguardano in prima persona.
In America in particolare comincia a essere evidente il legame tra racial justice e climate justice. Infatti le comunità afroamericane sono quelle più colpite dalle catastrofi ambientali, perché già normalmente faticano ad avere una casa stabile o dei mezzi per evacuare, come un auto privata.
Questa disuguaglianza è inaccettabile e non possiamo permetterci di aspettare che colpisca il mondo sviluppato (già stanno avvenendo incendi e uragani fuori dalla norma) per renderci conto della gravità della situazione. Il mondo è già in fiamme, non c’è più tempo. Attraverso questo libro possiamo capire l’importanza di una giustizia climatica e conoscere realtà lontane da noi, cercare di capire come arginare il problema e apprendere le tecniche di sopravvivenza che probabilmente ci serviranno.