Le grandi profondità marine, nonostante siano un ambiente ostile sono abbondanti di vita e ricche di specie misteriose: molte ancora sconosciute, altre note e molto strane all’apparenza.
Benché si trovino in angoli remoti del nostro pianeta, l’elevata domanda di metalli ha fatto si che l’industria dell’estrazione mineraria rivolgesse la propria attenzione verso queste aree.
Gli abissi e le zone di estrazione
Molto spesso le zone più profonde dei nostri oceani presentano un’elevatissima attività vulcanica.
Il contatto tra le acque fredde e le aree riscaldate dalla risalita di materiale magmatico causa la formazione di quelli che sono chiamate fumarole (back smokers).
Una volta fuoriuscita dal fondale, quest’acqua bollente precipita, a causa della bassa temperatura e dell’elevatissima pressione, generando dei giacimenti minerari di ferro, nichel, manganese, oro.
Intorno a queste bocche idrotermali si forma un ecosistema ricchissimo di vita e di recente scoperta.
Questi ecosistemi hanno stupito la comunità scientifica per l’abbondanza di vita; nonostante le caratteristiche ambientali al limite della sopravvivenza: 400 °C, pressioni elevate, totale assenza di luce e ph bassissimo (acque molto acide), intorno alle bocche idrotermali la vita fiorisce.
Gli organismi si sono evoluti per ricavare energia sfruttando quanto emesso dalle fumarole.
Ad esempio un verme polichete, la Riftia pachyptila, che vive in simbiosi con dei batteri e raccoglie i solfuri presenti in acqua fornendoli ai batteri che li utilizzano per produrre sostanze nutritive per la Riftia stessa.
Nell’esplorazione dei fondali è anche possibile imbattersi in aree completamente ricoperte da noduli costituiti da elementi metallici.
La formazione di questi avviene diversamente e molto più lentamente, dato che è necessario un nucleo di condensazione, cioè un elemento che funzioni da base per permettere ai minerali in acqua di aggregarsi.
Questo procedimento necessita di molto tempo: per un accrescimento di un cm sono necessari milioni di anni, ma infine si ha la formazione di un giacimento minerario molto esteso.
Come si raccolgono i minerali?
Data l’elevata richiesta di minerali e la difficoltà a reperirli sulla terraferma, questi depositi si presentano come un’ottima soluzione.
Tuttavia l’estrazione a 3000 metri di profondità presenta notevoli problematiche.
Per metterla in atto vengono utilizzati dei ROV (Remotely Operated Veichles), sottomarini filoguidati attrezzati per la raccolta di questi rari elementi.
Anche se generalmente i ROV sono associati all’esplorazione del mare, possono essere adattati all’estrazione mineraria.
Enormi macchinari cingolati deposti sul fondale iniziano la loro opera di distruzione e raccolta.
Tutto ciò che viene scavato è pompato in superficie, dove una nave appositamente attrezzata ripulisce il composto eliminando tutto ciò che non ha alcun valore; l’acqua di scarto piena di fango e sabbia finissima è quindi ripompata nelle profondità.
Le acque intorno a Papua Nuova-Guinea si sono rivelate tra le più interessanti, grazie alla presenza di elevate quantità di oro ed alla bassa profondità.
Tuttavia queste acque sono un hotspot di biodiversità e ancora non si conoscono a fondo i possibili impatti ambientali che questo tipo di estrazione può causare.
Nonostante l’intervento dell’International Seabed Authority (ISA) sembra che per il 2025 inizieranno i primi lavori di sfruttamento del fondale.
Come può venir impattato il fondale?
Gli abissi sono ambienti ancora poco conosciuti e difficili da esplorare, è quindi ancora poco chiaro quali danni potrebbero subire queste aree in seguito allo sfruttamento.
Oltre al diretto disturbo del fondale dato dal movimento dei macchinari possiamo avere molti fattori che potrebbero creare disturbo a tutta la colonna d’acqua.
L’azione dei mezzi filoguidati causerebbe il sollevamento di notevoli quantità di sedimento finissimo che impiega tempo prima di tornare a depositarsi sul fondale e può essere trasportato lontano dalle correnti.
Questa finissima sabbia può andare a danneggiare le comunità bentoniche (tutti gli animali la cui vita è strettamente legata al fondale), in modi ancora poco conosciuti. Quel che è sicuro, però, è si avrebbe la perdita di molti organismi sessili come coralli ed anemoni.
I fondali abissali sono poi habitat di molte specie endemiche che vivono sia sopra che dentro al sedimento; l’azione distruttiva dell’estrazione mineraria non solo danneggerebbe l’ambiente di questi organismi ma potrebbe portare alla scomparsa di molte specie, alcune delle quali ancora sconosciute.
Le nuvole di materiale di scarto rilasciate dopo il trattamento intorbidiscono la colonna d’acqua, influenzando particolarmente le comunità zooplanctoniche; inoltre si avrebbe una ridotta penetrazione della luce in acqua che potrebbe portare squilibri all’interno della catena alimentare.
La presenza di grandi macchinari che lavorano costantemente, produce una quantità di rumore non indifferente che può disturbare la fauna ittica insieme alle luci utilizzate per illuminare le buie profondità degli abissi.
La costante presenza di una nave nell’area costituirebbe probabile fonte di fuoriuscite di carburante o altre sostanze tossiche utilizzate nei procedimenti di lavaggio.
Anche le fumarole sono in pericolo, pur trattandosi di ecosistemi ben adattati ai rapidi cambiamenti, non sono chiari i danni che l’estrazione mineraria causerebbe.
Il semplice fatto di avere ingombranti mezzi sottomarini che muovendosi distruggono i fondali è più che sufficiente per fugare ogni dubbio sulla pericolosità di queste attività.
Che cosa si può fare ?
Per ridurre l’impatto o addirittura evitarlo si possono adottare alcune strategie per imparare a conoscere gli effetti dell’estrazione mineraria.
Grazie all’economia circolare è possibile ridurre lo spreco di risorse e di conseguenza la necessità di andare a sfruttare ambienti così delicati.
Di esempio è il Giappone che per le olimpiadi ha utilizzato i rifiuti elettronici per ricavare oro, argento e bronzo da usare nelle medaglie.
Investigare gli abissi è fondamentale, una maggiore comprensione di questo mondo sconosciuto può aiutarci a capire come agire senza arrecare troppo danno.
A causa delle enormi difficoltà che caratterizzano l’esplorazione delle profondità molte specie sono ancora sconosciute, non possiamo permetterci di perderle ancora prima di averle osservate.
È necessario quindi sviluppare un regolamento che impedisca questo tipo di attività almeno fino a quando non si avrà la tecnologia necessaria per assicurare il minimo danno agli ecosistemi profondi che hanno ancora così tanto da scoprire.