Settantanove eco-guerre.
E’ questo il numero che ci si presenta davanti quando svolgiamo una semplice ricerca sul web.
Il mondo odierno è afflitto dal fenomeno delle guerre ambientali.
Se ci affidiamo a quanto rilevato dal rapporto commissionato dai paesi del G7 nel 2025, Taking Action on Climate Change and Fragility Risks, dal secondo dopoguerra ad oggi ci sono stati ben 111 i conflitti che hanno avuto come cause scatenanti fattori legati al cambiamento climatico (“eco-guerre“).
Secondo il World Watch Institute ci ritroviamo ad essere testimoni di una crescente interdipendenza tra i cambiamenti climatici e la susseguente emersione di conflitti di varie intensità.
Secondo lo studio sopracitato, si stima che 1,4 miliardi di persone vivano già in aree sottoposte ad un forte stress idrico, con delle previsioni agghiaccianti per quello che riguarda il futuro: sembra che il numero possa raggiungere i 5 miliardi entro il 2025.
Conflitti di questo tipo ci obbligano ad interfacciarsi con un altro grande problema strettamente legato ai cambiamenti climatici: le crisi migratorie.
Eco-guerra: Il caso della Siria
Uno dei fattori fondamentali e di maggiore tensione a livello internazionale è proprio quello del controllo delle risorse idriche di un dato territorio.
Nel caso della Siria, conflitto che ha portato alla morte almeno mezzo milione di persone, sarebbe sbagliato non tenere in considerazione la fortissima siccità che ha colpito il paese tra il 2006 ed il 2011.
La siccità ha portato al collasso i rendimenti agricoli del paese. Di conseguenza ha spinto un milione e mezzo di persone a lasciare le campagne per affollare le vie della capitale e ammassarsi in suburbs urbani.
Benjamin Cook, insieme a un team di ricercatori dell’Università dell’Arizona e della NASA, ha concluso tramite degli studi di misurazione delle precipitazioni che l’ondata di siccità che ha colpito il paese rappresenta la peggiore in 500 anni.
Uno studio del 2015 ha dimostrato che l’aumento di emissioni di gas serra causate dalle attività umane ha portato ad un aumento di probabilità di fenomeni gravi di siccità.

I cambiamenti nella frequenza delle precipitazioni in Siria sono dovute all’aumento della pressione media del livello del mar Mediterraneo orientale.
Ulteriori studi basati su dei modelli mostrano l’avvicinarsi di un clima medio sempre più caldo e più secco per tutta l’area che circonda il Mediterraneo Orientale. Di conseguenza verranno colpiti i paesi che vi si affacciano, quali Libia, Egitto, Siria, Palestina, Libano, Turchia e Grecia.
La siccità siriana ha portato al fallimento del 75% delle aziende agricole siriane ed alla morte dell’85% dei capi di bestiame. Un durissimo colpo per l’economia del paese.
La siccità ha avuto un effetto catalizzatore sulla situazione siriana, contribuendo a fomentare i disordini politici che dal 2011 intaccano la regione.
Analizziamo l’ISIS in Iraq
Un altro esempio ci è portato dall’operato dell’ISIS in Iraq.
Eventi climatici di enorme portata quali siccità, allagamenti e fortissimi venti hanno portato al crollo economico e politico del paese.
Un’inchiesta di National Geographic espone chiaramente i fatti.
A ogni inondazione o attacco di caldo o freddo estremo, gli jihadisti offrivano regali ai cittadini iracheni. Durante la siccità del 2010, particolarmente violenta, i militanti dell’ISIS hanno offerto ceste di cibo alla popolazione inerme.
Quando forti venti hanno distrutto i raccolti di melanzane nei pressi di Kirkuk nel 2012, si sono occupati della distribuzione di denaro. Un mantra che veniva spesso ripetuto durante queste operazioni recitava:
“Join us and you’ll never have to worry about feeding your family”.
Gli abitanti di un paese come l’Iraq, tormentato da decenni di instabilità e politiche climatiche scadenti, hanno rappresentato per i reclutatori dell’ISIS una facile preda.
Le premesse in Iraq
Il boom del petrolio a inizio anni ‘70 aveva già privato l’agricoltura di gran parte della sua importanza, lasciando senza alcun tipo di tutela coloro che lavoravano la terra mirando ai maggiori profitti derivanti dal commercio di petrolio con le potenze straniere.
L’ascesa al potere di Saddam Hussein nel ‘79 (anno della rivoluzione iraniana, evento che inevitabilmente influenzò il vicino Iraq) ha comportato l’entrata del paese in un vortice di conflitti, strappando i contadini dalle loro terre per prestare servizio nella guerra tra Iran e Iraq (1980-1988).
A mettere ulteriormente in ginocchio il paese fu anche l’intervento americano nel 2003. Intervento che, tra le altre cose, portò alla distruzione dell’80% dei manufatti contenuti nei musei iracheni (The Shock Doctrine di Naomi Klein). Nel 2011 gran parte delle campagne irachene versano in condizioni di difficoltà finanziarie disperate.
Secondo i dati della Banca Mondiale, circa il 39% degli abitanti delle aree rurali del paese vivevano in condizioni di povertà estrema. Quasi il 50% della popolazione non poteva usufruire di acqua potabile. Questo ha causato degli esodi climatici. Decine di migliaia di persone che abitavano nei villaggi si sono dovute spostare. Hanno abbandonato i loro campi e tentato la fortuna insediandosi nelle aree urbane e periferiche delle maggiori città.
Due esempi di siccità estremi che, si può dire con un paradosso, hanno creato terreno fertile per ben altre tipologie di problematiche.
Il caso del Sud Sudan
Nel caso del Sud Sudan ci interfacciamo con una causa diversa dalla siccità.
La carestia che ha colpito il paese è stata principalmente la conseguenza della cattiva gestione da parte del governo che, dopo la guerra civile del 2013, faticava a riprendersi.
Recenti studi del World Food Program (WFP) hanno però collegato l’aggravarsi della situazione alle precipitazioni al di sotto della media che hanno prosciugato intere aree agricole del paese.
I cambiamenti climatici possono essere considerati come dei moltiplicatori di minaccia per lo stato della sicurezza globale.