Siamo l’aria che respiriamo – raccolta di saggi di Arne Naess
Era da tanto tempo che volevo approfondire la figura di Arne Naess e il movimento dell’ecologia profonda. Rientra sia nella serie dei grandi classici, che ho iniziato con Walden di Thoreau e Primavera silenziosa di Carson, sia nella collezione della Penguin Classics Green Ideas, a cui avevo dedicato un articolo il giorno della sua uscita.
Insomma, sono anni che vedo citazioni di questo filosofo norvegese in ogni libro che leggo. Così finalmente ho preso Siamo l’aria che respiriamo e ho iniziato a studiare questa raccolta di saggi e ad approfondire il personaggio che è Arne Naess.
L’autore: Arne Naess
Arne Naess (1912-2009) è stato un alpinista, un professore, un attivista e un filosofo norvegese. Viene considerato il fondatore del movimento dell’ecologia profonda, perché fu il primo a usare queste parole nel 1973.
Più approfondivo la vita di Naess più scoprivo cose assurde. Nelle interviste e nei documentari che sono stati fatti su di lui emerge una persona molto carismatica e abbastanza folle, nella migliore accezione possibile di questa parola. Ad esempio, in Boxing Arne Naess (2001-03), un documentario norvegese sottotitolato in inglese, il filosofo ha circa 90 anni ma sembra un bambino: gira felice in monopattino, guarda la neve come fosse la prima volta che la vede e ride e scherza con tutti. Parla con spontaneità alla camera e passa da un argomento all’altro ricordando i suoi esercizi di attivismo o raccontando del suo approccio gandhiano alla boxe. Questo documentario in norvegese, creato dal Centre for Development and the Environment (SUM) dell’Università di Oslo, si può recuperare integralmente in Youtube con i sottotitoli in inglese.
Ma andiamo con ordine, cercherò di riassumere la vita piena che ha avuto Naess nei suoi lunghi 97 anni, elencando solo alcune delle cose che trovo più significative.
L’amore per la montagna
Innanzitutto non aveva nemmeno vent’anni che aveva già asceso le cento vette più alte della Norvegia. E a 28 anni conquista i 7708 metri del Tirich Mir, in Pakistan, conducendo la celebre spedizione del 1940.
La passione per l’alpinismo e per la montagna in generale non lo abbandonerà mai. Tanto che nel 1938 decide di costruire una piccola baita ai piedi del Monte Hallingskarvet, denominando la zona Tvergastein, “pietre incrociate”. Ha trascorso quasi 12 anni su quella montagna, dove ha scritto la maggior parte dei suoi saggi.
Infatti è proprio lì che comincia a elaborare il suo pensiero filosofico. Vivendo a strettissimo contatto con la natura, comprende la profonda gioia che nasce dal considerare ogni singola roccia come un individuo unico, con una propria storia da raccontare. Nasce così la sua ecosofia T, da Tvergastein – parola che unisce oikos, casa, e sophia, saggezza. Parlerò meglio di questa filosofia nel prossimo capitolo, ma è come si evince dal nome è una filosofia di vita personale che mira alla saggezza ecologica e all’armonia.

Il percorso accademico (o anti-accademico)
Nel 1939, a soli 27 anni, diventa il professore più giovane dell’Università di Oslo. Ruolo che non ama moltissimo, perché non vuole che la sua filosofia venga intesa in senso accademico. Vive l’esperienza di docente a modo suo, come ha sempre fatto: alcuni studenti lo ricordano con i piedi sulla scrivania mentre parla di ecosofia, altri raccontano di averlo visto entrare dalla finestra perché il suo ufficio era stato chiuso a chiave.
Alcuni colleghi, come il filosofo Hans Kolstad, vedono negativamente il fatto che Naess abbia “portato la filosofia fuori dalle università”. In Boxing Arne Naess, Kolstad sostiene che l’approccio empirista di Naess riduca la filosofia. Parla in senso negativo della sua influenza e del suo tentativo di “make philosophy into science”, trasformare la filosofia in scienza. Naess infatti trovava fondamentale descrivere la sua ecosofia in maniera semplice e pratica, per arrivare a più persone possibili. Per lui era il discorso accademico a ridurre la filosofia.
L’attivismo
Come sapete, nel 1962 esce Primavera Silenziosa, il libro più celebre di Rachel Carson e forse di tutta la prima ondata del movimento ecologista negli anni ’60 e ’70. L’influenza di questo libro arriva fino in Norvegia e Naess comincia a riflettere su quanto velocemente la civiltà industriale stia avendo degli impatti negativi sulla natura. Questi pensieri lo portano all’attivismo non violento fino a fondare il movimento dell’ecologia profonda.
Forse la sua azione più memorabile è la cosiddetta “Mardøla-aksjonen” o “Mardøla Action”. Nel 1970 Arne Naess si siede e si lega ad altre 300 persone ai piedi della cascata di Mardalsfossen, una delle più alte d’Europa, per protestare contro la costruzione di una diga sul fiume Mardøla. Anche in seguito, il suo attivismo rimane legato alla tradizione gandhiana: le azioni sono sempre non violente e l’oppositore viene accolto e compreso per poterlo convincere attraverso la conversazione. Nello specifico, nel documentario The Call of the Mountain (1997), che vi consiglio e che trovate in fondo a questo articolo, ricorda l’espressione sorpresa dei poliziotti norvegesi quando aveva offerto loro del caffè caldo durante la manifestazione.
L’ecosofia T
L’ecosofia T ha come obiettivo la concezione estesa e relazionale del sé, cioè il sé ecologico. Si tratta di riconoscere la nostra appartenenza a una rete di relazioni vitali che costituiscono intrinsecamente la nostra identità. Siamo l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, l’ambiente che abitiamo. La conseguenza naturale di questa identificazione è l’altruismo verso ogni forma di vita.
La norma fondamentale di questa filosofia è l’autorealizzazione, che porta alla distinzione tra sé metafisico e sé ecologico, inteso come tutte le forme di vita, come è concepito in molte tradizioni orientali (si pensi al concetto di ātman). Un altro termine che Naess usa per spiegare cosa intende per autorealizzazione del sé è “simbiosi”. Infatti, tradizionalmente nella maturità del sé si è largamente ignorato il rapporto che l’essere umano ha con la natura. I passaggi di maturazione erano: dall’ego al sé sociale e dal sé sociale al sé metafisico. Introducendo il sé ecologico, Naess ci ricorda che noi siamo nella e della natura.
Detto ciò, Naess non credeva che esistesse un’unica ecosofia, al contrario. Ecosofie diverse aggiungono complessità ecologica e si traducono in una migliore qualità della vita. Quindi possiamo imparare nuove forme di ecosofie e di saggezza ecologica dagli altri esseri. Infatti quando spiega la sua ecosofia T, non vuole imporla, ma si sente piuttosto come un insegnante che tenta di ispirare i suoi studenti ad articolare la propria ecosofia.
Le belle azioni di Kant
In Un tentativo di riflessione sull’ottimismo (1759), Kant chiama “belle azioni” quelle che facciamo spontaneamente e che sono basate sulla propria inclinazione. Esse si contrappongono alle “azioni morali”, che facciamo perché le percepiamo come un dovere morale o un obbligo.
Ecco, Naess utilizza queste definizioni di Kant per analizzare il suo presente, e credo che la sua riflessione sia valida tutt’ora. Secondo il filosofo norvegese, gli individui o le istituzioni che cercano di promuovere azioni ecologiche usano tre strategie: si appellano all’utilità, enfatizzano gli obblighi morali o incoraggiano determinati atteggiamenti o inclinazioni. Fermare la crisi climatica è necessario, ma può essere un dovere morale oppure può essere una bella azione. Tutto dipende dall’ecosofia personale che abbiamo raggiunto, perché chiunque abbia raggiungo l’autorealizzazione vorrà spontaneamente agire in maniera ecologica.
Nonostante il suo approccio indubbiamente filosofico, in un’intervista del 1994 Naess dice di non amare la parola “ecosofia” perché rimanda all’idea di filosofia accademica. In generale, non sopporta la filosofia moderna occidentale che ormai riguarda solo la crescita intellettuale. Rimpiange una filosofia più empirica, che non sia staccata dalla vita che vivi. Tanto che denuncia i filosofi che non mettono in pratica nel quotidiano le discipline in cui credono.
Il movimento dell’ecologia profonda
Come abbiamo visto finora, Naess ha un rapporto conflittuale col termine “filosofia”. Anche per questo decide di chiamarlo movimento dell’ecologia profonda. Infatti non è una filosofia in nessun senso accademico, né è qualcosa di istituzionalizzato come una religione o un’ideologia.
L’aggettivo “profonda” è fondamentale. Naess vuole evidenziare la differenza tra le preoccupazioni dell’ecologia superficiale e quelle dell’ecologia profonda. Per rendere più chiaro questo contrasto, fa alcuni esempi di temi cari all’ecologia in generale e analizza come i due movimenti li affrontano. Vi cito solo il caso dell’inquinamento. L’ecologia superficiale si preoccupa di diffondere l’inquinamento in modo più uniforme con l’aiuto della tecnologia e magari consiglia di esportare le industrie nei paesi in via di sviluppo. Mentre l’ecologia profonda valuta l’inquinamento non solo per i suoi effetti sulla salute umana ma per quelli che ha sulla vita nel suo complesso. La priorità è combattere le cause e non gli effetti superficiali.
Per Naess, una risposta profonda alla crisi climatica comporta il raggiungimento di una visione totale che vada al di là dell’Occidente. Si rende conto che molti problemi ambientali non sono meramente tecnici, ma anche personali e locali; quindi bisogna occuparsi del problema a livello globale.
A questo punto vorrei ricordarvi che Naess è un filosofo del secolo scorso, quindi durante la lettura dei suoi saggi può capitare che dica cose che ora consideriamo ovvie – chissà, forse la pensiamo così anche grazie al suo movimento.
Inoltre a volte cita o consiglia soluzioni che oggi sono impossibili. Ad esempio, quando nel 1986 parla del problema della sovrappopolazione, dice: “I calcoli relativi al numero ottimale della popolazione umana possono variare. Alcune stime quantitative parlano di 100 milioni, di 500 milioni o di un miliardo.” Beh, oggi siamo 8 miliardi.
Gli “otto punti”
Preferiva non definire troppo chiaramente cosa fosse il movimento, perché “non è necessario che i sostenitori aderiscano esattamente alla medesima definizione”. Tuttavia, nel libro elenca i cosiddetti “otto punti”, i princìpi che nel 1984 vengono proposti da lui e George Sessions come fondamenti provvisori dell’ecologia profonda:
- Il benessere e la prosperità della vita umana e non-umana sulla Terra hanno un valore intrinseco.
- La ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla prosperità e sono a loro volta valori in sé.
- Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e diversità, se non per soddisfare bisogni vitali.
- Il prosperare della vita e delle culture umane è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana. Il prosperare della vita non-umana esige una tale riduzione.
- L’attuale interferenza umana è eccessiva e la situazione sta rapidamente deteriorando.
- Le politiche devono essere modificate, perché influenzano le strutture economiche, tecnologiche e ideologiche.
- Il mutamento ideologico è principalmente quello di apprezzare la qualità della vita piuttosto che ricercare un tenore di vita sempre più elevato.
- Coloro che sottoscrivono i punti precedenti hanno l’obbligo di provare a implementare i cambiamenti necessari.
Conclusioni
Per concludere vorrei solo condividere una delle tante frasi che ho sottolineato nel libro e che mi è rimasta molto impressa.
Persone male informate potrebbero causare piccoli disastri ecologici. Oggi più che mai è nostro dovere tenerci informati; più siamo informati, migliori saranno le nostre basi per prevedere le conseguenze.
Vi lascio ora al documentario. Una delle cose che mi ha colpita di più è che qui Naess si definisce ottimista solo per quanto riguarda il 22° secolo. Mentre è convinto che il 21° sarà un secolo molto difficile. Come dargli torto?