I figli degli uomini di Alfonso Cuarón è un film stupendo e ormai famosissimo. Era in concorso alla Mostra del cinema di Venezia nel 2006 ed è stato candidato in diverse categorie agli Oscar dell’anno seguente. Ma nonostante siano passati anni dalla sua uscita, è ancora tra i film più guardati e amati del regista.
L’ho rivisto recentemente e ho capito subito di doverne parlare qui, ma non mi era ancora chiaro il perché. In effetti questo film non parla esplicitamente di crisi climatica e non si può dire che rientri in toto nel genere della cli-fi. Eppure guardandolo nel 2021, anno in cui è ambientato il romanzo originale, non ho potuto evitare di notare delle somiglianze inquietanti con nostro mondo.
Cerchiamo allora di capire insieme perché I figli degli uomini è una rappresentazione plausibile del futuro che ci aspetta se continuiamo a ignorare la portata della crisi climatica in cui siamo già.

I figli degli uomini
Il film è ambientato nella Londra del 2027. È interessante che sia una distopia, perché questo genere di solito mostra un futuro esageratamente lontano o diverso dalla realtà, nonostante critichi proprio il presente. In questo caso l’aspetto distopico è la perdita di fertilità a livello globale, che manda le persone in uno stato di caos, disperazione e depressione, sapendo di essere le ultime a popolare la Terra.
La premessa del film quindi è abbastanza lontana dalla realtà odierna. Il Lancet infatti ha pubblicato un articolo nel 2017 con i prospetti positivi della crescita demografica negli anni futuri e anche su Our World in Data si può trovare un grafico che smentisce questa scelta narrativa. Ma, come ho detto, serve sempre un elemento esagerato o assurdo in una distopia. Purtroppo il resto dei problemi sociali ed economici rappresentati sono molto più vicini alla nostra realtà. Non è difficile immaginare un mondo in cui le democrazie fanno fatica a restare al governo, i rifugiati e i loro soccorritori vengono denunciati e imprigionati in carceri a cielo aperto, la diseguaglianza economica è così ampia che solo i ricchi possono godersi gli ultimi anni della specie umana sulla Terra. Non è difficile perché ci viviamo già dentro.
Sapendo che l’umanità sta per finire, le persone si abbandonano al caos: da chi si suicida immediatamente a chi sfoga la sua frustrazione sugli altrə. La Gran Bretagna sembra l’unico paese ad aver mantenuto il controllo sulla propria popolazione. Ma per restare al potere bisogna far dimenticare a tuttə l’empatia verso il prossimə e verso la natura. Il sistema resiste in questo modo, che ricorda molto il capitalismo – o quantomeno la reazione delle persone sembra essere la stessa di oggi. Come spiegava la biologa Wall Kimmerer, moltə non riescono a empatizzare con il mondo naturale e quindi soffrire della perdita di biodiversità, perché ormai viviamo nei centri urbani e siamo sconnessi da madre Terra.
La crisi climatica è la causa di qualsiasi distopia
Da un po’ di anni quando leggo o sento della gestione dell’immigrazione da parte dei “paesi occidentali” penso a quanto la crisi climatica stia aumentando e aggravando questo fenomeno. Come abbiamo già affrontato nell’articolo sugli esodi climatici, è dagli anni Novanta che l’IPCC svolge ricerche a questo proposito. I pronostici per il 2050 sono di 200 milioni di migranti costretti a lasciare la propria nazione per catastrofi legate al clima. Per non parlare di tutte le persone che vivono su isole che a breve spariranno.
Partendo da questo ragionamento ho pensato ai diversi tipi di distopie: da mondi postapocalittici a tecnologie estremamente sviluppate, da catastrofi ambientali a sistemi politici opprimenti. Tutto può derivare dalla crisi climatica.
Infatti ormai usiamo la parola “crisi” perché i cambiamenti climatici sono solo un aspetto del disastro a cui andiamo incontro. Dentro quella parola c’è l’instabilità politica, la diseguaglianza economica, il disordine sociale, la perdita della biodiversità, l’impossibilità di vivere una vita sana (l’aria irrespirabile, l’aumento dei virus con lo scioglimento del permafrost, ecc.) e infine la dipendenza dai mondi virtuali per sfuggire alla deprimente realtà.
Come vedete stiamo già andando incontro a una distopia. Per questo sono arrivata alla conclusione che ormai quel genere è indissolubilmente legato a quello della cli-fi.

Un barlume di speranza necessaria
Cerco di chiudere su una nota positiva, perché la speranza è un altro tema centrale in I figli degli uomini. Questa infatti è la vera forza motrice di tutta la trama. Il protagonista Theo non inizierebbe mai il suo viaggio se non avesse quel barlume di speranza a tirarlo avanti. Come ho già approfondito nella articolo sul libro Scegliere il futuro, l’ottimismo è fondamentale in questo momento storico. Non c’è altro modo di combattere la crisi climatica senza soccombere alla depressione. A questo proposito vi consiglio di leggere l’articolo sul concetto di eco-ansia per imparare ad affrontarla.