Il futuro è sottoterra

In questo articolo cercherò di parlarvi di Il futuro è sottoterra, un libro di cui si potrebbe scrivere un articolo per ogni capitolo. Ho perso il conto di quante volte durante la lettura mi sono fermata a sottolineare delle frasi. Quasi ogni concetto che tratta e ogni idea che esprime ti inducono a fare altre ricerche e a ragionare a lungo su quanto letto. È un saggio ricco di informazioni unite insieme in un racconto di indagine personale dell’autore. Non a caso le ultime 70 pagine sono di note che rimandano a siti, ricerche e studi accademici. Ecco, forse per descrivere questo libro nel modo migliore direi che è un saggio divulgativo inserito in una narrazione in prima persona molto scorrevole.
Il sottotitolo italiano infatti è “un’indagine per sfamare il mondo senza divorare il pianeta”. Proprio perché George Monbiot, giornalista britannico, gira per l’Europa alla ricerca di una soluzione a questo dilemma.

Naturalmente prima di arrivare alla soluzione, o dovrei dire all’insieme di soluzioni possibili, l’autore ci spiega la situazione disastrosa dell’attuale sistema alimentare globale e i danni che sta causando ai nostri terreni. Infatti la difficoltà maggiore nel leggere questo libro, come tanti altri libri ambientalisti, è superare i primi importantissimi capitoli che descrivono la gravità del problema. Tuttavia, dopo le prime 200 pagine di indagine e dopo aver individuato i colpevoli, il nostro eroe si avvicina finalmente alla soluzione. E così, alla fine del quinto capitolo, scrive una frase piena di speranza:

“Se cercate risposte facili, non è qui che le troverete. Se volete miracoli, ci sono altri libri. Tuttavia, anche se i problemi sono spinosi e paradossali, ritengo che esistano alcune soluzioni controintuitive.

L’autore: George Monbiot

Come ho anticipato, George Monbiot (1963) è un giornalista e attivista britannico, che scrive soprattutto per il Guardian, dove ha una sua rubrica. Ha recentemente vinto l’Orwell Prize, un premio britannico per chi tratta temi politici.
È laureato in zoologia e infatti finora i suoi progetti si erano concentrati soprattutto sul mondo animale, nello specifico quello acquatico. Tra i documentari più noti a cui ha partecipato ci sono Rivercide e Seaspiracy, di cui ho già parlato in un articolo. Tuttavia è anche stato un grande sostenitore del “rewilding”, come si evince dal suo libro precedente, Selvaggi (2013). Inoltre, in quel periodo, uscì anche un suo TED Talk sullo stesso argomento e un video sull’impatto che i lupi hanno negli habitat in cui vengono reinseriti. Quest’ultimo video si chiama proprio How Wolves Change Rivers e George Monbiot fa la voce narrante.

Dopo questi famosi interventi focalizzati sulla fauna, ha finalmente studiato e approfondito il terreno, l’agricoltura, l’allevamento e tutto il nostro sistema alimentare globale. Ed è di questo che ci racconta nel suo libro Il futuro è sottoterra. Ci spiega le sue scoperte inquietanti, ma anche le soluzioni che ha trovato intervistando agricoltori e scienziati. Come sempre, anche questa volta, ha poi riassunto il suo libro in un TED talk – trovate il video in fondo a questo articolo.

George Monbiot, l'autore di Il futuro è sottoterra
George Monbiot a un TED talk

Il presente è in superficie

La premessa di Il futuro è sottoterra è alquanto strana e disorientante: l’agricoltura è la cosa peggiore che l’umanità abbia mai fatto al nostro pianeta. Secondo George Monbiot, il problema principale di cui dovremmo occuparci per fermare la crisi climatica è il sistema alimentare globale – come coltiviamo, distribuiamo e mangiamo il cibo. Questo sistema è chiaramente distruttivo e oltretutto sta anche per collassare su se stesso. Ormai è ovvio che non riusciremo a sfamare un mondo di 10 miliardi di umani se continuiamo a sfruttare la terra senza preoccuparci di mantenerla in salute.
Nello specifico, sappiamo che collasserà perché è un sistema che guarda solo al profitto immediato e non alla fertilità sul lungo periodo. Ad esempio, i fertilizzanti e i fungicidi aumentano la resa in agricoltura, ma favoriscono la diffusione di parassiti nocivi; circa il 70% dell’acqua prelevata da fiumi, laghi e falde acquifere viene utilizzata per l’irrigazione, ma antibiotici e liquami scaricati dagli allevamenti intossicano i bacini idrografici.

Andando avanti nella lettura della prima grande sezione del libro, capiamo che i problemi sono fondamentalmente due: il modo in cui produciamo il cibo sta distruggendo il pianeta in diversi modi; e il modo in cui mangiamo, la nostra dieta globale, non ha più la complessità e varietà necessaria per rendere le colture sostenibili. Ma approfondiamo insieme cosa intendo, riportando anche alcuni dati citati da Monbiot.

1. Il problema agricolo

Personalmente mettere anche solo in dubbio il sistema agricolo attuale mi sembrava una follia. Di sicuro non avevo mai pensato che fosse uno dei principali problemi ambientali, figuriamoci il più dannoso. È normale essere scettici davanti alla nozione che l’agricoltura, una tecnica che ha circa 10.000 anni, sia da accantonare in favore di una nuova fonte di alimentazione che ci allontanerebbe dallo sfruttamento dei terreni. Ecco, vi chiedo di assecondare la vostra curiosità come ho fatto io e non scartare questo libro pensando che tratti l’argomento in modo insensato o sbagliato.

Al fine di nutrirci, abbiamo abbattuto intere foreste, portato all’estinzione animali selvatici e avvelenato fiumi e mari. Per fare solo un esempio, l’80% della deforestazione è attualmente dovuta all’agricoltura. L’impatto che produrre il nostro cibo ha sul pianeta è enorme.

Ma il vero problema dell’agricoltura è la quantità di superficie terrestre che usiamo. Abbiamo arato e destinato al pascolo enormi superfici di terra. Basti pensare che, della superficie abitabile del pianeta, l’agricoltura occupa quasi la metà dei terreni, sul resto del suolo ci sono le nostre case e infrastrutture e le aree naturali protette come foreste, deserti e ghiacciai.

È importante notare che la terra usata per l’agricoltura si divide in colture per noi umani (23%) e in terra destinata ai pascoli e alla produzione di cibo per gli animali degli allevamenti (77%) – mentre 2 miliardi di persone soffrono di malnutrizione. A questo proposito un paragrafo molto interessante è dedicato ai banchi alimentari e al tentativo di non sprecare il cibo che coltiviamo sacrificando così tanto. Anche in quel caso, Monbiot sottolinea che “i risparmi che si ottengono riducendo la perdita di cibo sono esigui in confronto a quelli che potremmo conseguire apportando delle modifiche alla nostra dieta”.

grafico della Our World in Data sull'impatto ambientale del cibo e dell'agricoltura
Grafico sull’impatto ambientale dell’agricoltura

Situazione italiana

Quando leggo o guardo contenuti sulla crisi climatica mi chiedo sempre quale sia la situazione italiana. Secondo studi della FAO riportati nella Treccani, gli ettari di suolo degradati sono il 79,5% della penisola. L’attività agricola, che danneggia la terra con le macchine agricole, accentua questo degrado per il 10,7% della superficie dei suoli in Europa e per il 3,3% in Italia. Inoltre il 40% dei nostri terreni sono a rischio di erosione, soprattutto idrica.

2. La nostra dieta

Questo forse è un problema più noto. L’idea che la nostra dieta attuale vada cambiata è meno sconvolgente. Tuttavia Monbiot, dichiaratamente vegano, non parla di diete vegetali. No, il problema con la dieta globale è proprio che sia globale. Com’è possibile che in tutto il mondo occidentalizzato mangiamo le stesse cose? Senza entrare aprire una parentesi sul “No Global”, di cui abbiamo già parlato a fondo nella recensione del libro di Naomi Klein, svisceriamo i problemi della nostra alimentazione.

All’inizio di Il futuro è sottoterra l’autore ci parla tra sistemi complessi e resistenti e sistemi semplici e a rischio di collasso. Quel capitolo non è molto entusiasmante e mentre lo leggevo non capivo quanto fosse in realtà alla base di tutto il libro. Infatti il problema con l’alimentazione moderna è che il sistema è stato sempre più semplificato fino a renderlo fragilissimo. Mi spiego con alcuni esempi riportati da Monbiot.
Il commercio dei cereali è controllato al 90% da solo 4 aziende. Davvero poche nazioni, come la Russia e l’Ucraina, li producono e li esportano. In generale, i paesi del mondo si sono divisi in esportatori e importatori, non c’è più una via di mezzo. Come se non bastasse, il commercio mondiale passa sostanzialmente solo per qualche punto cruciale, come il canale di Suez, Panama e la Turchia. Non serve che vi spieghi perché questa carenza di una molteplicità di opzioni renda l’intero sistema fragile e sull’orlo del collasso.

Infine, a peggiorare le cose, c’è la poca varietà nelle diete, dovute alla necessità di produrre cibo su grande scala. Ad esempio, solo quattro colture (il riso, la soia, il mais e il grano) rappresentano quasi il 60% delle calorie che produciamo. Ma come ho detto, in questo caso a Monbiot non interessa dirci come dovremmo mangiare, ma piuttosto vuole scoprire come potremmo continuare a produrre così tanto cibo senza esaurire le risorse del pianeta. Se volete approfondire il discorso del cibo, vi consiglio il breve saggio Food Rules, che ho recensito tempo fa.

Il futuro è sottoterra

Il titolo italiano è significativo, nonostante si discosti molto dall’originale Regenesis. Infatti il libro inizia proprio con la descrizione minuziosa del suolo e dei suoi abitanti, fino ai microbi più invisibili. Monbiot ci spiega quanto ogni essere vivente sottoterra sia importante per la fertilità e il funzionamento del suolo.
Fin dall’inizio, il suo scopo è farci capire che la soluzione alla crisi climatica sta nella terra stessa, bisogna riscoprire l’ecologia del suolo, scavare in profondità e valorizzare la biodiversità nascosta sotto i nostri piedi.

Le soluzioni: un nuovo Neolitico

Nel sesto capitolo, Tim Ashton, un agricoltore dello Shropshire, dice una cosa che mi ha colpita molto: “Nel Neolitico non potevano arare perché non c’erano animali da tiro. Dovevano seminare direttamente nel terreno. Ci sono voluti 5.500 anni per capire che avevamo sbagliato tutto e per imparare di nuovo ciò che gli uomini dell’Età della Pietra già sapevano”.
Naturalmente non credo che la soluzione sarebbe tornare a prima dell’invenzione dell’aratro: l’agricoltura è stata fondamentale per la civiltà umana. Tuttavia, è chiaro che ormai non possiamo più sostenere il ritmo della produzione alimentare moderna.

A questo punto, le soluzioni possono essere trovate solo da agricoltori e scienziati. Ed è proprio per questo che Monbiot, da bravo giornalista, va in giro per il Regno Unito a intervistare contadini indipendenti. Alcuni di loro mantengono il terreno fertile per tutto l’anno grazie ai microrganismi del sottosuolo, evitando di arare (il cosiddetto no-till farming) e di usare erbicidi. Tuttavia, l’autore sa che serve qualcosa di più rivoluzionario se vogliamo davvero sostituire l’intero sistema agricolo.

Un’altra scoperta è lo sviluppo da parte del Land Institute (Salina, Kansas) del Kernza, un’erba di grano intermedia perenne che non necessita della risemina annuale. Questo genere di piante resterebbero sullo stesso appezzamento per diversi anni riducendo la necessità di pesticidi, fertilizzanti e irrigazione.
Ma queste sono ancora soluzioni parziali, perché il vero problema è il bestiame, che dev’essere nutrito. La nostra priorità infatti è sostituire i cibi ricchi di proteine e grasso, nutrienti che al momento otteniamo dagli animali, dalla soia e dall’olio di palma.

E finalmente l’indagine arriva a termine in Finlandia. Infatti ad Helsinki nell’azienda Solar Foods un gruppo di scienziati prepara ricette a base di un batterio altamente proteico e dal sapore di uova. Tramite la “fermentazione di precisione” riescono a creare in laboratorio una farina molto proteica (che è per circa il 65% costituita da proteine) da un batterio del suolo che si nutre di idrogeno.
La rivoluzione di questo processo è che necessita di pochissima terra, acqua e fertilizzante. E soprattutto, a differenza di tante tecnologie ecologiche che sembrano impossibile da raggiungere in tempo, questa è semplice fermentazione. Infatti era già stata sviluppata dalla NASA negli anni Sessanta.

La conclusione a cui giunge Monbiot è che per fermare l’uso distruttivo del suolo, bisogna spostare la produzione di cibo nelle industrie. Per questo all’inizio dell’articolo parlavo di “soluzione controintuitive”. Nessuno si sarebbe aspettato la soluzione più ecologica e sostenibile fosse spostarsi dall’aria aperta ai laboratori. Eppure, ricordiamoci che già adesso il nostro cibo viene prodotto e confezionato in luoghi chiusi, in cui gli animali sono ammassati, uccisi e poi confezionati per la vendita in supermercati.

Il manifesto di Monbiot

Leggendo la seconda grande parte di questo libro, quella delle soluzioni, cresceva dentro di me una sensazione di star studiando la nuova rivoluzione agraria, o piuttosto alimentare. Come ogni movimento rivoluzionario che si rispetti, Monbiot abbozza un manifesto di 13 punti fondamentali per intraprendere questo cambiamento epocale.

  • Conoscere la matematica alimentare;
  • Cambiare le storie che ci raccontiamo;
  • Limitare la superficie di terra che usiamo per sfamare il mondo;
  • Minimizzare l’uso dell’acqua e dei prodotti chimici per l’agricoltura;
  • Lanciare un Earth Rover Programme per mappare con precisione i suoli del mondo;
  • Favorire la fertilità con interventi biologici il più possibile ridotti;
  • Ricercare e sviluppare un’agroecologia ad alte rese;
  • Smettere di allevare animali;
  • Sostituire proteine e grassi animali con la fermentazione di precisione;
  • Spezzare la morsa delle multinazionali globali sulla catena alimentare;
  • Diversificare il sistema alimentare globale;
  • Usare la nostra comprensione dei sistemi complessi per avviare cambiamenti a cascata;
  • Restituire alla natura la terra un tempo appannaggio dell’agricoltura.

TED Talk su “Il futuro è sottoterra”

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Yoga è stata pescata accidentalmente da un peschereccio a strascico davanti alla costa di Cesenatico. Attualmente sta svolgendo il processo di riabilitazione in vasca presso le strutture di Cestha e nei prossimi giorni svolgerà gli accertamenti veterinari. Ancora non ha iniziato ad alimentarsi, si deve ancora abituare alla sua vasca.

The Black Bag ha deciso di battezzarla con il nome Yoga - dopo averla adottata - per ringraziare David e Gruppo Yoga Solidale Genova per aver contribuito, con una donazione, alla sua adozione.

Bellolampo viveva insieme al suo branco di cani liberi nella discarica di Palermo situata in Via stradale Bellolampo, dalla quale prende il nome.

Non sappiamo esattamente perché, ma il branco è stato catturato e portato nel canile municipale di Palermo, un luogo assolutamente inospitale, inadeguato e spaventoso per tutti i cani, ma soprattutto per i cani nati liberi che non hanno praticamente mai avuto contatti con l’uomo.

La data di nascita viene indicativamente riportata come l’1/12/2015 e l’ingresso nel canile di Palermo è avvenuto il 9/4/2016.
Bellolampo aveva solo 4 mesi quando è stato tolto dal suo territorio nativo e separato dai suoi fratelli per essere chiuso in un box sovraffollato.

Una volontaria del canile di Palermo segnalò a Buoncanile l’urgenza di trovare una sistemazione migliore per lui così riuscirono a farlo arrivare a Genova nell’ ottobre 2016 insieme ad un'altra cagnolina, Papillon.

Furono i primi cani del #buoncanileprogettopalermo.

Bellolampo ha subito manifestato una forte paura nei confronti delle persone e dell’ambiente, arrivando anche a mordere, mentre si è dimostrato da subito capace e desideroso di instaurare forti legami con gli altri cani.

Nel tempo ha imparato a fidarsi dei gestori del canile e piano piano ad aprirsi anche a pochi volontari selezionati.

Essendo un cane molto carino e anche di piccola taglia negli anni ha ricevuto diverse richieste di adozione, ma tutte incompatibili con il suo carattere diffidente e spaventato.

Una curiosità? Bellolampo ama gli equilibrismi! Gli piace saltare sui tavoli, le panche, le sedie, i muretti e proprio non resiste al fascino della carriola!!

Mix pittina dagli occhi magnetici... salvata da pesante maltrattamento. Viveva a Napoli legata alla ringhiera delle scale condominiali ad una corda cortissima.

Lei è un cane eccezionale, nata nel 2013. Entrata in canile nel 2014 si è subito distinta per le sue naturali doti olfattive: con lei abbiamo lavorato tantissimo sulla discriminazione olfattiva, fino a farle seguire delle vere e proprie piste di sangue finalizzate al ritrovamento di persone scomparse (attività fatte solo ai fini ludici).

Non va d’accordo con i suoi simili, per cui cerca una famiglia senza altri animali in casa, una famiglia dinamica , esperta e disposta ad un percorso conoscitivo.

Paco cerca casa! Si trova a Genova!

Paco è stato adottato da cucciolo con la superficialità di chi crede che un cucciolo sia un foglio bianco sul quale scrivere ciò che si vuole, e con la stessa superficialità è stato portato in canile perché dopo due anni era cresciuto con caratteristiche diverse da quelle di un peluche.

Paco è un cane affettuosissimo, curioso e dinamico, viene presentato a tutti i nuovi volontari del canile come uno tra i cani più equilibrati e gestibili anche per chi è alla prima esperienza.

Ama passeggiare a lungo, è già abituato a vivere in casa, viaggia volentieri in auto, è sempre alla ricerca di nuove avventure da fare in compagnia dei suoi amici, è molto bravo in città, non ha paura delle persone, né dei cani. Non ama i cani maschi, è invece molto bravo con le femmine. Non è compatibile con i gatti.

E’ un cane adulto oramai, è nato nel 2014, una taglia media (circa 20 kg), è un cane che sa gestire bene le emozioni, i suoi bisogni e i suoi spazi.

Paco ha bisogno di un'adozione responsabile, che non sottovaluti i segnali di stress che sa comunicare, soprattutto quando vuole riposare in cuccia senza essere disturbato.