Le lampadine a LED sono una vera rivoluzione, sia per quanto riguarda il consumo energetico che le emissioni di carbonio. Tuttavia prima del loro arrivo, questa industria era pericolosamente consumista.
Il 23 Dicembre 1924 infatti, un gruppo di uomini d’affari si riunì a Ginevra per un incontro che cambiò l’economia mondiale per i secoli avvenire.
Erano presenti i rappresentanti delle più grandi società di lampadine: Osram dalla Germania, Philips dall’Olanda, Compagnie des Lampes dalla Franca e General Electric dagli Stati Uniti.
Queste società fondarono il cartello Phoebus (dal nome del Dio greco della luce, il Febo Apollo), un corpo per la supervisione e la gestione del mercato globale delle lampadine, in modo che ogni nazione e regione fosse assegnata a ciascun produttore.
Il compito del cartello era quello di sviluppare delle lampadine con vita più breve.
Nei primi anni del XX secolo lo sviluppo tecnologico, la diffusione dell’elettricità e le nuove forme di illuminazione diedero infinite opportunità a nuovi investitori e imprenditori, ma in pochi anni tutti perdevano importanza e i concorrenti riuscivano a comprarli.
Poco prima dell’instaurazione del cartello Phoebus le lampadine raggiungevano in media 2500 ore di utilizzo e miglioravano in continuazione.
Nel 1923, le vendite di lampadine della produttrice Osram passarono da 63 milioni a 28 milioni, a causa della longevità del prodotto.
Infatti fu Osram stessa a creare il cartello.
L’obiettivo del cartello e le sue conseguenze
Il cartello Phoebus aveva l’obiettivo di stabilizzare il mercato, controllando la durata delle lampadine, passando dalla media del 1923 di 2500 ore (104 giorni) a 1000 ore (41 giorni).
Questo permise ai produttori coinvolti di aumentare i profitti, vendendo un prodotto peggiore.
L’accordo era supervisionato dalle stesse società che controllavano personalmente la duratura delle lampadine dei concorrenti, assegnando sanzioni a chi superava le stabilite 1000 ore. Questo portò gli ingegneri a sviluppare lampadine con filamenti più fini, materiali meno raffinati e voltaggi più alti, così da renderle meno longeve. Queste venivano poi vendute allo stesso prezzo, se non più alto, dichiarando che erano di migliore qualità, più efficienti e più luminose.
Entro il 1933 tutti i produttori raggiunsero le 1000 ore medie di longevità.
Un’altra delle proposte del cartello era quella di standardizzare le lampadine globalmente attraverso l’odierno attacco a vite.

(Foto dagli archivi della Philips)
Il cartello Phoebus divenne talmente influente e potente che venne sciolto in poco tempo.
Dopo sei anni dalla sua formazione infatti, iniziò ad avere problemi a controllare la General Electric. L’azienda statunitense, volendo vendere più degli altri, produceva lampadine leggermente migliori, anche a discapito delle sanzioni imposte dai concorrenti. Tuttavia il motivo principale per lo scioglimento del cartello però fu la Seconda guerra mondiale che ostacolò gli accordi internazionali.
Il cartello fu nullificato nel 1940.
Tuttavia la mentalità consumista creata dal cartello spinse anche altre industrie ad agire con l’ottica dell’obsolescenza programmata.
Infatti molto rapidamente pure l’industria automobilistica adottò sistemi per incentivare i consumatori a comprare l’ultimo modello, anche se non necessario, incrementando i profitti.
Fu proprio così che General Motors rimpiazzò l’egemonia creata da Ford.
Ugualmente Apple è diventata l’azienda più redditizia nel nuovo millennio. Anche se Apple ha perso molte cause a riguardo, pagando più di 100 miliardi di dollari, il suo profitto è ampiamente superiore. Negli ultimi 20 anni molti hanno seguito lo stesso modello arricchendosi a discapito del consumatore, favorendo la mentalità consumista.
Come abbiamo visto anche con la fast fashion nel mondo della moda, il capitalismo preferisce il profitto alla qualità del prodotto venduto.
L’arrivo del LED
Nuovi regolamenti introdotti nei primi anni 2000 hanno iniziato a frenare il consumismo.
Lo stesso mercato della lampadina che ha diffuso l’obsolescenza programmata, negli ultimi 20 anni ha portato un cambiamento radicale, introducendo lampadine migliori e più efficienti (Alogene, al Neon e LED).
Le lampadine a LED consumano un decimo dell’energia e durano 50 volte di più delle lampadine incandescenti che sostituiscono.
È più probabile cambiare abitazione che lampadine a LED.
Le lampadine a LED (Light Emitting Diode) costituiranno il prossimo futuro dell’illuminazione.
La luce viene prodotta da diodi alimentati da un circuito elettrico, il tipo di diodo e la quantità di energia che lo attraversa determina il colore del LED.
Diversamente dalle lampadine a incandescenza che terminano la loro vita con la bruciatura del filamento, il LED si degradano lentamente fino a perdere il 20-30% della luminosità.
Le lampadine a LED risparmiano fino al 90% di energia rispetto a quelle a incandescenza (una lampadina LED da 8W equivale a una a incandescenza da 75W), raggiungendo una vita media di 17 anni. Inoltre hanno la capacità di variare la luminosità e il colore e soprattutto non emettono radiazioni infrarosse, dannose alla pelle.
Pur avendo attualmente un costo elevato, gli esperti predicono che il costo diminuirà del 50%, pur migliorando l’efficienza. Infatti, nonostante costino sei volte di più rispetto alle lampadine incandescenti, le lampade incandescenti devono essere cambiate molto più spesso e il risparmio può essere nell’ordine del centinaia euro ogni anno. Proprio come nel caso delle classi energetiche degli elettrodomestici, è giusto essere lungimiranti.
Le emissioni di CO2 dei LED
Un aspetto importante riguarda l’emissione di CO2 derivante dai consumi elettrici (questa stima considera che l’energia elettrica sia prodotta da fonti non rinnovabili). Ogni kWh produce emissioni di CO2 nell’atmosfera: una lampadina alogena da 30W, accesa per 4 ore al giorno, consuma circa 43,2 kWh all’anno.
Considerando una media di 531 g di CO2 emessa per ogni kWh, le emissioni di CO2 annue raggiungono un totale di 23 kg. Una lampadina a LED da 5W, accesa sempre per 4 ore al giorno, consuma invece in un anno circa 7,2 kWh. Le emissioni di CO2 ammontano quindi a poco meno di 4kg.
Nonostante la lampadine a LED siano prive di materiali nocivi, sono sempre considerate un rifiuto tossico.
È quindi necessario non smaltirle tra i rifiuti domestici ma rivolgersi ai centri di riciclo e ai rivenditori che devono ritirarle gratis, anche senza averne acquistata una nuova.
Se le lampadine a LED siano economicamente controllate o meno è una domanda ancora aperta. In svariati casi non raggiungono la vita stimata, ma incidenti come questo potrebbero essere dovuti a una fabbricazione disattenta. Non c’è dubbio che la sofisticazione tecnologica aumenti la tentazione di creare obsolescenza programmata.
D’altro canto il consumatore non si accorgerebbe mai che la lampadina è durata 7 anni invece di 17.
Nel 2021 il mercato della luce è più ampio e diverso che mai e le istituzioni controllano con regolamenti più stringenti. Tuttavia è ancora forte la volontà di creare alleanza tra imprese e il cartello Phoebus dimostra che possono avere successo.