Le microplastiche sono uno dei problemi più noti dei nostri mari, ne sentiamo parlare spesso eppure non ci rendiamo conto di quanto questi microscopici frammenti siano prossimi a noi.
Ma come arrivano dal mare al nostro corpo e come possono far male sia a moltissimi animali oltre che all’uomo stesso?
Come e dove si originano le microplastiche?
Questi minuscoli pezzetti di materiale plastico possono derivare da oggetti comuni che finiscono in mare (come una bottiglietta d’acqua), possono essere fibre sintetiche di cui molti dei nostri abbigliamenti sono pieni o ancora, quelle piccolissime sfere utilizzate nelle creme scrub per pulire il viso… le fonti d’origine nel mondo moderno sono praticamente incalcolabili.
Una volta che queste giungono in mare intervengono due fattori a ridurne le dimensioni trasformandole da plastiche a microplastiche: frammentazione meccanica, cioè la bottiglietta o qualsiasi altro oggetto di materiale plastico vengono frantumate dal moto ondoso, e fotodegradazione, cioè quel fenomeno per cui la luce del sole è in grado di degradare la plastica rendendola estremamente fragile, cosicché grazie al moto ondoso questa si trasforma in una polvere finissima che rimane nell’acqua a disposizione degli animali che vivono in mare.

La plastica nell’ecosistema
Recenti studi hanno mostrato come i copepodi, piccoli crostacei planctonici, ingeriscano particelle di questo materiale che naturalmente non viene digerito e rimane all’interno dell’animale.
Il plancton è l’elemento base della dieta di moltissimi pesci anche di interesse economico e di cui noi ci cibiamo.
Ad esempio, molti copepodi sono la principale fonte di cibo per le acciughe che finiscono sulla nostra tavola.
Le microplastiche però possono diventare cibo per animali più grossi; in questo caso ci troviamo di fronte ad un altro grosso problema: la biomagnificazione.
Questa consiste nell’accumulo sempre maggiore di sostanze tossiche man mano che si sale lungo la catena alimentare.
Questo avviene perché organismi piccoli accumulano poche sostanze tossiche, ma un animale più grande mangia molti piccoli organismi e di conseguenza accumula anche tanti inquinanti e plastiche.
Anche il fitoplankton, organismi vegetali planctonici, il principale produttore di ossigeno del pianeta, risente negativamente della presenza di plastiche in mare.
Sembra infatti che queste particelle possano essere assorbite dai piccoli organismi riducendo, di conseguenza, l’efficacia della fotosintesi.
Una piaga per il mare
Queste sostanze sfortunatamente non affliggono solo la superficie del mare ma, recentemente, si è osservata la loro presenza anche ad elevate profondità.
Nelle fosse oceaniche, che possono raggiungere anche i 10.000 m di profondità, sono state osservate plastiche all’interno di alcuni isopodi abissali.
La distribuzione di questi materiali è così estesa che alcune nuove specie abissali sono state rinominate in seguito alla scoperta di materiali sintetici nel loro stomaco.

Le microplastiche si possono quindi definire una vera e propria piaga moderna.
Con la loro ampissima distribuzione, anche in luoghi praticamente inesplorati, affliggono ogni elemento dell’ambiente marino.
A causa della sua estensione e della mancanza di leggi apposite, l’eliminazione delle plastiche dai mari risulta un impresa ardua.
Tuttavia, moltissimi progetti sono oggi all’opera con l’intento di ripulire oceani e spiagge, aiutati dalle più moderne tecnologie, dandoci speranza per il futuro.
Fonti:
Immagine gentilmente fornita dal dottor Gobbi Nicolò.
By Johanna Weston, Alan J. Jamieson – Newcastle University, WWF Germany, Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=87860438