Avevo già consigliato Okja (Plan B, 2017) tra i 10 film da guardare durante le feste, ma se non l’avete ancora visto vi perdono e vi ricordo che dopo i titoli di coda c’è un’ultima scena da non perdere.
Ad ogni modo, ho avuto l’occasione di rivederlo su Netflix un po’ di tempo fa ed è evidente che meriti un articolo a parte. Infatti in quest’opera del famosissimo regista sud-coreano Bong Joon-ho vengono trattati alcuni dei temi più cari all’ambientalismo.
Il film non si perde in troppe allegorie, anzi è parecchio chiaro fin dalla prima scena. Quindi non sarà necessaria un’analisi profonda, come poteva essere quella fatta per La città incantata, ma piuttosto sarà interessante cogliere i messaggi e le citazioni esplicitati in Okja.
Il greenwashing del capitalismo moderno
Il film si apre con un lungo discorso di Lucy, la CEO della Mirando Corporation, che sta vendendo il nuovo prodotto della sua multinazionale. Durante la conferenza stampa, racconta della scoperta dei supermaiali, creature meravigliose che potranno sostituire gli allevamenti intensivi, avere un minor impatto ambientale e produrre una maggiore quantità di carne. Tutto questo in modo assolutamente naturale: 26 esemplari nati spontaneamente verranno cresciuti da contadini di diverse parti del mondo nei successivi 10 anni. Addirittura, mentre parla, compaiono dietro di lei le scritte: “Eco-friendly, naturale, no-OGM”.

È abbastanza chiaro che quella di Lucy sia una vendita promozionale di un prodotto. Quindi siamo anche certi fin da subito che ci sia qualcosa di meschino dietro quella facciata di sostenibilità e colori sgargianti – e il film confermerà i nostri sospetti.
Il greenwashing è ormai una realtà conosciuta, ne abbiamo anche parlato in un nostro articolo, ma sembra continuare a funzionare. Infatti numerose multinazionali cercano ancora di nascondere il loro impatto ambientale dietro un imballaggio verde o una scritta ambigua sul packaging, come “plastica riciclabile al 100%”.
In Okja viene approfondito un po’ il punto di vista dei “cattivi”. Lucy ammette di aver detto queste bugie bianche, cioè di aver fatto greenwashing, per convincere la gente a mangiare un prodotto creato in laboratorio. Tuttavia non si tratta di carne sintetica, come può essere quella di Beyond Meat o di Impossible Foods, ma di animali forzati a riprodursi, allevanti intensivamente e uccisi senza pietà. A conti fatti, l’unica cosa importante per una multinazionale che opera in una società capitalista è vendere il proprio prodotto.
ALF – Animal Liberation Front
Un altro grande protagonista del film è il gruppo ALF, Fronte per la Liberazione degli Animali. In generale rappresentano qualsiasi organizzazione animalista e ambientalista che cerca di agire con azioni totalmente pacifiche. Salvando Okja i membri dell’ALF sono i chiari “buoni” della storia, ma la protagonista Mija non sembra particolarmente interessata ai loro grandi scopi, vuole solo tornare a casa con il suo animale.
È interessante che non siano mostrati come un gruppo perfettamente organizzato, anzi litigano spesso, ma in questo modo risultano molto più umani. È più facile empatizzare con loro e capire che sono sinceramente spinti da un’ideologia condivisa.

La prima volta che vidi Okja pensai che quel gruppo fosse stato inventato appositamente per il film. Mi sembrava ispirato a tanti altri gruppi ambientalisti e attivisti che conoscevo, come Greenpeace o Extinction Rebellion, ma non avevo idea che fosse una vera organizzazione animalista. Nel film si vedono le foto storiche di veri attivist* e si fa riferimento al manifesto degli anni Settanta che elenca gli ideali del movimento.
L’Animal Liberation Front è nato in Inghilterra nel 1976 ed è guidato dal suo fondatore Ronnie Lee. Il Consiglio Europeo lo inserisce nelle organizzazioni terroristiche monotematiche, che è divertente perché appena il gruppo compare sullo schermo con i passamontagna il capo Jay specifica di non essere un terrorista.
Il realismo del finale di Okja (spoiler)
Il lieto fine di Okja è decisamente amaro. A livello di trama, la protagonista è riuscita nel suo intento iniziale: ha riportato il suo animale a casa. Ma il film può essere letto anche come una storia di formazione.
Mija ha sempre vissuto nelle montagne della Corea del Sud e quando parte per Seul vuole solo riprendersi il suo supermaiale. Tuttavia durante il suo viaggio in America capisce tante nuove e orribili cose sul mondo occidentale. Per salvare Okja deve correre in mezzo a un allevamento intensivo, attraversare un macello e scendere a compromessi col sistema capitalistico, pagando la multinazionale per liberarlo. Inoltre si rende conto, e noi con lei, che è riuscita a salvare solo due dei migliaia di maiali imprigionati lì dentro. L’urlo collettivo di quelle bestie sul finale è a dir poco agghiacciante.
Ovviamente tutto questo fa male perché sappiamo che è la realtà dei fatti. No, per il momento non esistono supermaiali nel nostro mondo, ma il tipo di trattamento che subiscono gli animali in questi allevamenti e il ragionamento capitalistico alla base della produzione di carne non poteva essere descritto meglio.
