Come promesso nello scorso articolo del ciclo “Canapa Revolution”, continuo la mia ricerca su questa pianta dalle proprietà straordinarie, scoperte dopo la lettura dell’omonimo libro di Chiara Spadaro, edito da Altreconomia, che non so come altro consigliarvi. Leggetelo.
Si dice che la canapa sia una pianta multiuso perché ogni sua parte può essere trasformata in qualcos’altro. Questa sarà la prima parte di un percorso in cui attraverseremo la canapa dal basso verso l’alto esaminando le sue sezioni più produttive. In generale ad oggi si usano più che altro lo stelo, le foglie, i semi e i fiori.
Una piccola precisazione prima di iniziare. A seconda del prodotto che si vuole ottenere bisogna piantare una varietà di canapa diversa o utilizzare una procedura di coltivazione diversa. Esiste ad esempio la cosiddetta canapa “da tiglio”, destinata soprattutto alla produzione tessile, oppure quella “da seme”, per la produzione industriale di semi e olio. Ma tutto questo lo approfondiremo nell’articolo sulla coltivazione della canapa.

Lo stelo: canapulo e tiglio
Lo stelo della canapa contiene il tiglio e il canapulo che vengono divisi attraverso la gramolatura, un processo che consiste nella compressione degli steli per separare la parte fibrosa da quella lignea. Il canapulo, detto anche “legno di canapa”, è il nucleo interno. La sua caratteristica principale è la straordinaria capacità di assorbire i liquidi, fino a raggiungere circa cinque volte il suo peso iniziale. Inoltre è ricco di silice, il ché lo rende importantissimo nella bioedilizia, perché abbinato alla calce può diventare un ottimo materiale di costruzione. Questo aspetto però lo approfondiremo in un prossimo articolo. Il tiglio invece è la parte fibrosa dello stelo da cui si ricava infatti la fibra tessile, tramite macerazione, battitura e pulitura.
La canapa tessile
Come abbiamo già scritto nell’articolo sul contesto storico, per anni l’Italia produceva la migliore qualità di canapa al mondo ed era tra le prime esportatrici nell’industria tessile proprio per questo. Il duro lavoro dietro alla produzione di tali meraviglie artigianali si può vedere in alcuni video degli archivi dell’Istituto Luce. Purtroppo però fu proprio la complessa lavorazione manuale e l’assenza di investimenti in macchinari più efficaci che condannò la canapa alla sconfitta di fronte ai derivati del petrolio e all’arrivo di nuove colture come quella del cotone. Ancora oggi, il nostro paese deve importare dall’estero la maggior parte dei tessuti in canapa, soprattutto dalla Cina e dall’est Europa, mentre esistono ancora poche realtà italiane produttrici.
Nonostante le fibre sintetiche siano più economiche da lavorare, la canapa è decisamente più ecologica. A parità di produzione (1 kg), il cotone ha bisogno del triplo dell’acqua (1500 contro 500 litri) e il doppio della terra. Inoltro Coltivando la canapa per uso tessile si ottiene un prodotto 4 volte più resistente, avendo un impatto sull’ambiente drasticamente minore. I tessuti di canapa sono di alta qualità, 4 volte più resistenti del cotone e hanno un’elevata capacità termoisolante e traspirante, che li rende caldi d’inverno e freschi d’estate, anche perché riflettono i raggi ultravioletti fino al 95% e assorbono l’umidità del corpo. Non conducono energia elettrica, sono anallergici e antisettici, non assorbono odori e hanno proprietà antibatteriche e antifungine. Insomma, perché non ci vestiamo più con questa meravigliosa pianta multiuso?
Dove la trovo? Ci sono moltissimi artigiani che continuano faticosamente a tenere in piedi la filiera tessile della canapa italiana. Nel libro ci sono davvero un’infinità di esempi, ma ne riporto due che mi hanno colpita particolarmente. AMBLEKODI crea artigianalmente biancheria d’arredo e accessori in fibra di pura canapa, e per i capi colorati vengono utilizzate tinture di origine naturale e a base d’acqua. Invece Risorse Future produce calzature vegane, ma anche borse, cinture e altri accessori bellissimi.

La fibra tecnica e la bioplastica
Avevamo già parlato della mitica Hemp Body Car di Henry Ford, costruita completamente in canapa. La sua fibra resistente viene tuttora applicata nel campo dell’ingegneria meccanica, soprattutto per la produzione di telai, perché rende le auto più leggere e prestanti.
Inoltre la fibra tecnica sostituisce anche la vetroresina, l’alluminio e i materiali plastici tradizionali, quindi le possibilità di produzione ecosostenibile sono infinite. Esistono già diverse bioplastiche, in cui la cellulosa e le fibre di canapa arrivano a costituire dal 50% al 100% del materiale. Anche in questo caso la Cina è tra i più grandi produttori e lì si realizzano già oggetti di uso quotidiano, dalle custodie dei cellulari agli occhiali ai giocattoli.
Dove la trovo? Tornando in Italia, Kanèsis è una startup siciliana che ha brevettato la HempBioPlastic (HBP), una bioplastica derivata dallo scarto della prima trasformazione della canapa industriale. In particolare, sta producendo un filamento per stampanti 3D totalmente compostabile.
La carta di canapa
Dalla fibra si possono ricavare quindi corde, tele, sacchi, tessuti, ma anche la cellulosa e la polpa per creare la carta. È raro però che venga prodotta al 100% di polpa di canapa, che viene più spesso mescolata ad altre materie prime.
Rispetto alla carta prodotta dagli alberi, la nostra pianta multiuso garantisce un’altissima produttività: un ettaro di canapa produce in pochi mesi la stessa cellulosa che viene prodotta in diversi anni da 4 ettari di foresta. Inoltre il legno degli alberi richiede un lungo e complicato processo per diventare pasta per la carta, con l’uso di acidi e solventi. Al contrario lo stelo della canapa ha una bassissima percentuale di lignina.
Dove la trovo? Il primo laboratorio artigianale in Italia si chiama CanapaCruda ed è nato a Fabriano. Invece a livello industriale l’azienda Raggio Verde realizza shopper in carta, blocchi per scrivere, tovagliette e quaderni in canapa.
