Il traffico illegale di animali selvatici è una delle cause principali della perdita di biodiversità nel nostro ecosistema, insieme al già devastante cambiamento climatico e alla c.d. antropizzazione, ossia la sottrazione di terreno agli animali per opera dell’uomo tramite la costruzione di città, strade e industrie.
Giusto un paio di settimane fa, nella giornata di martedì 30 marzo, presso l’aeroporto delle Galapagos sono stati ritrovati ben 185 cuccioli di tartarughe terrestri giganti all’interno di una valigia: poiché erano avvolte nella plastica e schiacciate l’una sull’altra, ben 10 sono state trovate senza vita, mentre altri 5 esemplari sono morti nei giorni successivi.
Le sopravvissute sono state trasportate presso il centro di allevamento situato sull’isola di Santa Cruz e gestito dal Galapagos Conservacy, un’organizzazione focalizzata esclusivamente sulla protezione dell’ecosistema dell’arcipelago.
Per i responsabili, infine, si parla del massimo della pena (in Ecuador, i reati contro la natura sono puniti con la reclusione da uno a tre anni).

Il fatto che ciò sia successo in un luogo così lontano e a scapito di esemplari che – diciamocelo – non vediamo proprio tutti i giorni nei nostri parchi, non vuol dire che non sia un problema che affligge l’intero pianeta, e soprattutto che non sia un fenomeno di cui anche noi siamo responsabili: nel 2018, il WWF aveva pubblicato un Report sul “Bracconaggio” per dimostrare come animali selvatici in via d’estinzione fossero oggetto di traffici illeciti. l’Italia, come molti altri paesi europei, non manca.
E già nel 2016, anche uno studio commissionato dall’UE (Wildlife Crime) aveva evidenziato come un po’ ovunque stesse crescendo a dismisura l’uso di “prodotti” ottenuti da specie animali sempre in via d’estinzione, come orsi e tigri.
Insomma, per quanto la nostra attenzione sia naturalmente orientata verso paesi asiatici, tropicali e/o esotici, il problema sussiste anche a casa nostra.
Secondo un articolo pubblicato da Repubblica nel maggio 2020, l’uccisione e il commercio di animali protetti a scopo alimentare e/o ricreativo (come ad esempio l’uccisione dei rapaci in migrazione sullo Stretto di Messina) è un problema gravissimo.
Traffico illegale di animali selvatici: vediamo qualche numero
Dal 1990, la presenza dell’elefante africano è diminuita del 90%: oggi questa specie, insieme all’elefante della savana, è considerata in “pericolo critico”.
Il commercio illegale e il bracconaggio hanno causato quasi l’80% delle morti che interessano le tigri: ne rimangono meno di 4 mila esemplari.
Il giaguaro, già messo a dura prova dal progressivo deterioramento del suo habitat a causa della situazione climatica, è spesso vittima dell’uomo che è interessato principalmente alla sua pelle.
Delle 30 specie di rinoceronti originariamente esistenti, oggi ne rimangono solo 5.
Solo in Italia, sono a rischio di estinzione ben 10 specie animali, tra cui l’Orso Bruno Marsicano, l’Aquila del Bonelli (di cui rimangono solo 20 coppie!!) e lo Stambecco Alpino.
Ma quali sono gli effetti?
Se è vero che ogni anno centinaia di milioni di piante ed animali sono prelevati dal loro habitat e trasferiti altrove per puro scopo commerciale e/o lucrativo, non si può logicamente pensare che queste pratiche non abbiano effetti devastanti sull’ambiente.
Tutto ciò causa, lo sappiamo dai tempi dell’asilo, una reazione a catena: la natura è indispensabile per la sopravvivenza dell’uomo (produce ciò che mangiamo, filtra l’aria che respiriamo, ecc..), e ognuna delle milioni di specie viventi svolge un ruolo specifico nell’ambiente in cui vive.
Grazie ad ogni animale ed ogni pianta l’ecosistema può mantenere i suoi equilibri vitali: si pensi al ruolo degli insetti impollinatori, senza i quali un terzo degli alimenti verrebbe meno, o a quello degli squali e degli altri predatori dei mari, che aiutano a regolare l’abbondanza e la diversità delle loro prede, mantenendo la salute dell’ambiente marino.
Inoltre, recentissimi studi svolti a seguito della diffusione del virus COVID-19, hanno evidenziato come i contatti non naturali tra specie esotiche, protette e selvatiche e l’uomo non sempre porta a buoni risultati: ancora non si conosce la causa dell’epidemia, e forse non si saprà mai, ma il mercato di animali selvatici di Wuhan è stato considerato, fin da gennaio 2020, il punto di partenza.
I meccanismi in azione (e ciò che ancora manca)
Ripetiamo quanto già ampiamente evidente: il problema è globale, non ci sono zone salve, né essere vivente che non ne patisca le conseguenze.
Proprio questa dimensione mondiale però, attira l’attenzione di numerosi soggetti giuridici: l’Unione Europea non delude sul fronte delle aree protette (che, ad oggi, interessano il 20% del territorio), mentre le Nazioni Unite, oltre ad affidare costanti compiti alla FAO, hanno istituito la World Wildlife Day, la giornata mondiale dedicata alla tutela e alla conservazione di fauna e flora (3 marzo).
A livello un po’ più pratico, risalta il ruolo delle persone coinvolte: infatti, in tutto il mondo quasi 350 milioni di persone vivono all’interno o in zone adiacenti alle aree boschive, che diventano la loro fonte di sostentamento in termini non solo di cibo, ma anche di riparo ed energia.
Sono proprio le comunità locali e le popolazioni indigene coloro che si impegnano in prima linea per una relazione sana e sostenibile con la natura (il 28% della superficie terrestre del mondo è attualmente gestita da popolazioni indigene!).
In Italia, bene ma non benissimo.
Legambiente, oltre a denunciare come il traffico illegale di animali selvatici esotici e/o parti di essi sia una pratica diffusissima (un reato ambientale su quattro colpisce la fauna), fa presente il problema prettamente giuridico: manca in effetti una tutela diretta, visto che solo il traffico illegale di animali domestici viene effettivamente punito (reclusione da 3 mesi ad 1 anno e multa da 3 a 15 mila euro).
C’è di buono, però, che a seguito di ogni sequestro (solo nel 2019, più di 2500) gli animali vengono trasferiti nei 10 centri specializzati sparsi per il territorio italiano, che si occupano di curarli fino ad una completa riabilitazione.